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Dato il suolo vulcanico, non si può non parlare di mineralità.
L’opinione odierna degli studiosi tende ad avvallare la labilità, laddove non proprio l’inesistenza, di correlazione diretta fra suolo e mineralità del vino.
“Queste osservazioni, che – sulla scorta di sperimentazioni ormai corpose e robuste – si possono oggi ritenere sostanzialmente acquisite, sono giunte tuttavia a chiudere la stalla quando i buoi erano già scappati” scriveva Costanza Fregoni, su un numero ad hoc che Il Sommelier Veneto aveva dedicato all’argomento nel giugno 2016. Infatti, il diniego di una correlazione diretta arrivava solo dopo anni di affermazioni che andavano nella direzione esattamente contraria, in cui il tono “minerale” dei vini era stato motivato con l’assorbimento di determinate sostanze da parte della pianta che le avrebbe poi trasmesse all’uva.
A smentire questa diretta correlazione sono autorità del calibro di Attilio Scienza, Alex Maltman dell’università di Aberystwyth (Galles), lo studio congiunto della compagnia spagnola Excell e Outlook Wine – i cui risultati sono stati anticipati da un articolo del The Drinks Business di Darren Smith intitolato New study strengthens case against soil-based minerality. Un influsso, se vi fosse, andrebbe semmai ascritto alla componente microbiologica del suolo, tornata recentemente sotto i riflettori.
Dall’altro lato esistono però studi come quello di Mariano Mercurio dell’Università del Sannio che in una sua ricerca del 2014 intitolata A ‘Geo-Pedo-Fingerprint’ (GPF) as a tracer to detect univocal parent material-to-wine production chain in high quality vineyard districts, Campi Flegrei (Southern Italy) rileva come vi siano due isotopi dello stronzio che riescono a passare dal terreno al vino.
Lo studio, svolto da un team congiunto di geologi, chimici e pedologi sul Piedirosso, indaga l’identità dell’impronta geo-pedologica di questo vitigno sui Campi Flegrei.
Fra i dati emerge che l’87Sr e l’86Sr hanno valori che rimangono immutati dal suolo all’uva e al vino, smentendo gli studi che invece negano questa possibilità.
La ricerca di Mercurio si inserisce nel filone di studi avviati da Sandro Conticelli sullo stronzio come elemento chiave per l’impronta geo-pedologica – si veda il volume del 2013 Analisi Isotopica dello Stronzio.
L’indice di provenienza controllata: un parametro geochimico intrinseco che lega il vino al proprio terroir di origine.
L’impronta geo-pedologica constente di rintracciare l’intera catena materiale-suolo-vigneto-vino, permettendo così di risalire dal vino alla zona di provenienza e offrendo un ulteriore strumento alle denominazioni di origini ma anche alla lotta alla contraffazione.
Ad affrontare il tema del legame fra suolo vulcanico e vino è anche John Szabo, Master Sommelier canadese che nel suo libro Volcanic Wines oltre ad indagare tale correlazione, la analizza anche dal punto di vista commerciale e del brand.
Sicuramente, il brand vini vulcanici, funziona anche da sé, come descrittore dal forte potere evocativo – come avevano anticipato peraltro già molti scrittori del Romanticismo.
La popolarità e il successo dei vini vulcanici può essere ascritta all’opera del Consorzio di Soave, che in un lavoro di valorizzazione del proprio territorio, ha saputo prima di altri e come ancora mai era stato fatto, puntare i riflettori su una componente dal forte valore, diretto e indiretto.
Spesso infatti suolo vulcanico significa viti franco di piede e varietà autoctone, foriere quindi di un patrimonio genetico di grande importanza.
Due corollari che oggi sono particolarmente ricercati: e se il primo è più un tema da addetti ai lavori, il secondo ha contagiato un pubblico di fascia più ampia che a suon di enoturismo vuole ribere, una volta tornato in patria, i vini autoctoni locali.
(leggi precedente post nel blog in merito) .
Il brand Volcanic Wines sviluppato qualche anno fa dal Consorzio di Soave e poi allargato al resto d’Italia ha avuto un’altra importante eco nella quasi improvvisa popolarità dell’Etna, cui avranno contribuito sicuramente anche altri fattori (produttori noti e internazionali, legami forti con l’esportazione in America, nella fattispecie New York, dove vengono stabilite le tendenze) ma che trova come motore propulsore il vulcano.
“Questo trend ha registrato un trend crescente e continuo” testimonia Giovanni Ponchia, attuale direttore del Consorzio Colli Berici e in forze al Soave come enologo del consorzio negli anni in cui il progetto Volcanic Wine vedeva la luce.
“Questa tipologia attrae i Paesi che un vulcano non ce l’hanno, ma anche quelli con un vulcano attivo o che ne hanno di spenti e inattivi.”
Al consumatore piace l’idea di assaggiare qualcosa che viene da un contesto viscerale, “al limite”, come quello del vulcano.
Fra i Paesi dove i vini vulcanici hanno grande risonanza va annoverata la Gran Bretagna, ma anche Belgio e Olanda” illustra Ponchia.
Ma anche il Giappone, che nella Sicilia ha trovato il proprio contraltare – un’altra isola, un altro vulcano; non è infatti un caso che tanti siti aziendali dell’Etna siano tradotti in questa lingua.
Ad aver approfondito la rinascita della denominazione è stato Benjamin Spencer, fondatore dell’Etna Wine School, il cui libro The New Wines of Mount Etna: An Insider’s Guide to the History and Rebirth of a Wine Region uscirà a breve.
Ma oltre al forte potere evocativo, i vini vulcanici hanno davvero delle carte in più da giocarsi?
“A livello chimico, i vini da suoli vulcanici presentano notevoli quantità di magnesio, potassio, fosforo, mentre la materia organica dipende dall’anzianità del suolo” spiega Ponchia, che a lungo ha avuto a che fare col suolo vulcanico di Soave – ebbene sì, la denominazione veronese ha parte dei suoli vulcanici.
“Fra questi, individuerei come elementi potenzialmente più incisivi i primi due, e forse proprio da questi varrebbe la pena di iniziare delle indagini più approfondite”.
Alea vi consiglia alcune letture a tema:
_Il Sommelier Veneto –“Oltre la Mineralità” ,
giugno 2016
_Darren Smith – “New study strengthens case against soil-based minerality”
The Drinks Business, 2015
_Alex Maltman – “Minerality in wine: a geological perspective”
Journal of Wine Research, 2013
_John Szabo – “Volcanic Wines: salt, grit and power”
Jacqui Small, 2016
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