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Fiere sì, fiere no.

[vc_row full_screen_section_height=”no”][vc_column][vc_column_text]In vent’anni il mondo del vino ha mutato volto in maniera netta – lo abbiamo già detto.

Sono cambiati i vini e le tecnologie di produzione, dei rossi ma soprattutto dei bianchi (vedi nostro articolo su Sur Lie), sono cambiati i player in gioco (con l’entrata a gamba tesa di America del Sud e Australia) ed è cambiato il clima che ne ha fatti entrare altri di insospettabili fino a qualche anno fa (si pensi al Regno Unito con i suoi spumanti Metodo Classico).
Sono mutati i mercati (con l’ascesa di Cina e Canada, la crescita degli US, gli altalenanti andamenti in Russia, i recenti dubbi sulla Brexit), sono cresciuti i consumatori (avvicinati da vini come il Prosecco ma anche i rosè che hanno conquistato fasce di consumatori altrimenti dediti alla birra o ai cocktail).
Sono mutati i mezzi di promozione (con lo sviluppo dei social – Instagram nella fattispecie – che hanno azzerato la distanza (percepita) fra produttore e consumatore finale) e i mezzi di distribuzione (si pensi anche solo alla consegna a domicilio di Amazon, solo da poco affacciatasi al mondo dell’enogastronomia).

A essere cambiate sono anche le occasioni di incontro fra produttore e consumatore, con l’aumento da un lato dell’enoturismo (vedi nostro articolo su Turismo del vino) – che in Italia sconta ancora pesanti vincoli legislativi – e dall’altro il ben più visibile proliferare di fiere.

Così se nell’agenda del 2008 gli appuntamenti si riducevano a Vinitaly, Prowein, Vinexpo e poco più, oggi nel 2018 le fiere si susseguono incalzanti ogni weekend, sovrapponendosi e sgomitando, lasciando il produttore (ma anche la stampa di settore) ad interrogarsi su quale evento sia meglio presenziare, in fatto di investimento energetico e pecuniario.

Per la classica azienda vinicola italiana a conduzione familiare, il fronte fiere non va sottovalutato, soprattutto in periodo di trattamenti ma anche nell’ottica di una gestione lungimirante delle energie e delle risorse.
Ecco allora qualche consiglio per limitare le uscite e ottimizzare le entrate.

Selezionare le fiere
Ci sono le fiere imprescindibili per il contatto con i buyer e i distributori.
Fra queste Prowein, VinExpo, e di recente anche Vinitaly che con l’aumento dei prezzi del biglietto d’entrata e la conseguente diminuzione delle presenze totali, ha operato una netta virata in direzione di un pubblico selezionato – gli esempi di accattonaggio alcolico nell’edizione appena terminata sono stati assai pochi.
E se è vero che a Vinitaly la relazione pubblica rimane una componente importante della fiera, la parte commerciale negli ultimi anni è tornata a crescere d’importanza grazie ad un respiro più internazionale.

E poi ci sono le fiere imprescindibili per il contatto con il consumatore finale, come ad esempio il mercato dei Vini organizzato dalla FIVI a Piacenza, che negli anni è diventato un appuntamento immancabile per chi voglia rimpinguare la cantina, vuoi perché realizzato in prossimità delle festività natalizie, vuoi per il clima rilassato da gita domenicale che attrae le famiglie, tanto che i carrelli si alternano a passeggini e persino qualche cane al guinzaglio.

Grazie alle vendita diretta in loco, questo tipo di fiera permette di avere ritorni di tipo immediato, oltre a rafforzare i legami con i clienti che già conoscono il prodotto ma magari non ancora i produttori o non sono mai stati in azienda per una visita.
In questo secondo gruppo va incluso anche il Merano Wine Festival e le sue edizioni italiane ed estere che, grazie ad una accurata selezione di aziende, riesce sempre ad attrarre una folla cospicua di eno-appassionati.

Poi ci sono le fiere dedicate a questo o a quel mercato (ad esempio, Prowein Asia), le settoriali/di associazione (come Raw Wine Londra o Villa Favorita, entrambe incentrate sui vini naturali) come pure quelle tematiche (come l’evento Vulcanei sui vini da suoli vulcanici o Terre di Toscana incentrato solo sui vini della regione), che proprio per il loro taglio favoriscono il contatto fra il produttore e il suo uditorio ideale (il buyer asiatico o il rivenditore di vini naturali, ad esempio).

Rimanendo in Asia, va segnalata la China Food & Drinks Fair, una fiera storica, creata nel 1955 ed oggi la più grande fiera commerciale della Cina, che quest’anno è caduta proprio in concomitanza con il Prowein. La fiera si tiene due volte l’anno, in primavera sempre a Chengdu, mentre in autunno cambia località di anno in anno. Solo la fiera di primavera attrae mezzo milione di visitatori e, seppure aperta al pubblico, la maggior parte dei visitatori sono importatori e distributori. Accanto all’evento principale che si tiene all’Exhibition Centre di Chengdu, vengono organizzati eventi mirati pre-fiera negli hotel dei dintorni dedicati alla presentazione di nuovi prodotti.

Prepararsi.
Il mercato è sempre più competitivo.
Arrivare preparati in fiera è fondamentale: se non si è pronti, ad esserlo ci sarà il vicino o il competitor di qualche altro stato.
Il consiglio è quindi quello di muoversi per tempo, contattando i clienti storici che sappiamo saranno in fiera ma anche diffondendo la notizia sui social per tempo o approfittando degli strumenti che la fiera stessa mette a disposizione: da qualche anno per esempio, Prowein, ha avviato il programma Route USA, che permette agli espositori di far sapere agli importatori americani se non sono ancora presenti nel mercato a stelle e strisce o se invece già presenti ma vogliono espandersi.

Essere sul pezzo.
L’uso dell’inglese è fondamentale ma non basta.
Serve capacità di interazione, conoscenza del proprio prodotto in primis dal punto di vista organolettico – se qualcuno vi dice che sa di tappo, consentitegli il beneficio del dubbio e aprite un’altra bottiglia; dopotutto, il TCA è l’unico difetto non imputabile al produttore ed è meglio una seconda bottiglia aperta che un potenziale cliente perso. Serve poi conoscenza della disponibilità a livello numerico e del prezzo.
Per tutte queste ragioni, se è sempre possibile assoldare uno stewart o una hostess per presidiare il banchetto, non sempre l’investimento è lungimirante.
Fatevi inoltre lasciare un bigliettino da tutti quelli che passano, prendetevi due annotazione se serve e pinzate il bigliettino accanto alle stesse.
Premunitevi anche di un foglio dove chi non avesse il bigliettino con sé, possa lasciare la sua mail e il nome e cognome (utili per la newsletter e per rimanere in contatto su Facebook, invitando a mettere un “Mi piace” che spesso fideizza e aiuta a imprimere il nome e a conoscere meglio una realtà, spingendo il canale enoturismo).

Dare un seguito.
Le fiere richiedono energia pre, durante e post evento.
Il cosiddetto follow-up ha lo stesso peso della degustazione in fiera e se non proficuo sin dall’inizio, serve non di meno a creare una banca contatti utilizzabile per la newsletter. Precisione e solerzia aiutano peraltro l’importatore a fissare il nome dell’azienda in mente (e in rubrica) e a favorire eventuali collaborazioni in futuro, oltre a lasciare una buona impressione per quello che riguarda prontezza e diligenza.

Cimentarsi.
In un mondo in continua evoluzione, rimanere aggiornati come pure cercare nuove strade sono due atteggiamenti imprescindibili.
Per questo il consiglio è quello – laddove possibile – di uscire dal proprio stand ed andare in esplorazione, assaggiando cose nuove ma anche vedendo cosa offre la fiera a livello di spazi, flussi, eventi.
Cimentarsi in nuove fiere, una all’anno, può aprire strade ancora non battute e sicuramente allargare il bacino di interlocutori.

 

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