Due giorni, quelli di Wine 2 Wine lo scorso 4 e 5 dicembre, in cui il mondo del wine business italiano si è interrogato confrontandosi con importanti, talora cruciali, figure estere del mondo del vino.
Un’agenda fitta, con incontri di mezz’ora che hanno contribuito ad abbozzare un ritratto delle tendenze attuali.

 

Storytelling _
Robert Camuto
La voce italiana di Wine Spectator che grazie alle sue Letters from Europe ha raccontato il vecchio Continente e l’Italia del vino.
Il suggerimento per le aziende italiane è trovare una storia e concentratarsi su quella.
Ecco le domande da farsi: chi sono? Per cosa mi distinguo? E poi, cosa mi motiva nella mia produzione?
E per chi fosse in dubbio, l’onestà è la carta migliore. Sempre.
E poi un piccolo consiglio: le schede tecniche?
Fatele trovare già pronte, così l’attenzione può concentrarsi sulla storia, su ciò che renderà avvincente l’assaggio dei vostri vini.

 

Enoturismo_
Felicity Carter
Per Karlsson
La direttrice di Meininger sottolinea l’importanza di rendere comprensibile la propria singolare storia ad un pubblico che viene da culture diverse, distanti kilometri.
Come? Con concetti semplici, che si rifanno a valori validi in Italia come in US, in Europa come in Australia: amicizie, festeggiamenti, famiglia, amore.
Per Karlsson, che si occupa di enoturismo da oltre due decenni con la sua realtà di BKWine sottolinea invece come il punto cruciale nel turismo del vino non sia il guadagno immediato ma la capacità di creare relazioni durature che si rivelano portatrici di guadagno nel solo nel corto ma anche nel lungo tempo.

 

Piattaforme media versus piattaforme vendite_
Adam Teeter
Logan Lee
Rispettivamente co-fondatore di VinePair e CEO di WineAwesomeness, hanno fatto il punto della situazione sui Millennials, capacità di vendita e di engagement (coinvolgimento degli stessi).
Ne è emerso che l’anno scorso i Millennials (ovvero coloro nati fra gli anni Ottanta e fine anni Novanta) si sono bevuti il 42% di vino negli US. Un dato importante che interessa fasce di mercato medio-basse ma che rivela quanto questa generazione sia interessata al prodotto vino.
Altro dato che emerge prorompente è la non-fedeltà del consumatori Millennials, che si distinguono per intraprendenza nei confronti dei nuovi marchi, come nuove zone di produzione.
Le statistiche sulla comunicazione rivelano inoltre come la comunicazione a maggior impatto sia non tanto l’adv classico ma l’imput social a basso valore informativo, che genera interesse verso il prodotto ma non lo impone in maniera forzata.

 

Label Design_Luca Fois
Come sappiamo l’etichetta vende la prima bottiglia – la qualità dell’enologo dalla seconda in poi. Un fattore che diventa cruciale per le vendite a scaffale.
Come muoversi? Sicuramente avere chiaro il proprio obiettivo e la propria identità, come pure la percezione e di conseguenza muoversi per quello che riguarda grandezza e stile dei caratteri, grafica e colore.
Una etichetta d’effetto oltre ad un effetto eye-catching che aiuta il consumatore a individuarla a scaffale, consente anche di individuarla subito sui social sia su quelli orizzontali (Facebook, Instagram) che verticali (Vivino).
E se Vivino è una piattaforma ancora poco usata in Italia, all’estero e soprattutto nei Paesi asiatici è abitudine comune e ampiamente apprezzata dal consumatore.

 

Giappone_Roddy Ropner
Decimo mercato per il vino italiano per volume, ottavo per il valore, quinto per quanto riguarda le bollicine, con il caso del Franciacorta che potrebbe essere usato come case history per come ha saputo collocarsi e crescere in maniera costante.
Se il Giappone si conserva ancora immune alla Rosè Revolution che ha invece contagiato gli US, diverso è invece l’interesse per la produzione italiana, anche grazie al fondamentale legame con la ristorazione firmata made in Italy, che continua a crescere, con oggi 8 mila attività che promuovono la cucina italiana.
Un nesso questo che si rivela e si è rivelato cruciale in mercati come gli Stati Uniti, il Canada, la Germania, grazie anche al supporto delle relative comunità di immigrati e che in Giappone trova invece un alleato in strutture come l’ICIF, l’Italian Culinary Institute for Foreigners con sede nell’astigiano.

 

 

 

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